mercoledì 5 ottobre 2011

Orsara - Il rito della vendemmia

I rintocchi mattutini del campanile, o il canto del gallo all’alba, segnavano l’inizio della giornata per i contadini impegnati nella vendemmia.
S’udivano da più punti sull’acciottolato o sulle “chianche” lo scalpiccio dei cavalli o dei muli e il rumore dei carretti che avanzavano portando il loro carico di tini e cesti ancora vuoti.
Alla raccolta partecipavano parenti e amici, che si spostavano di vigna in vigna aiutandosi a vicenda.
D’un tratto la vigna si animava: il carro si spostava lungo i filari dove mani esperte di donne e uomini si affrettavano a colmare i cesti di grappoli maturi.
I cesti sarebbero poi stati svuotati nei tini dove l’uva veniva pigiata per “ammostarla” e aumentare così la capacità del recipiente.

L’aria si riempiva di risa e canti che rallegravano i partecipanti, stemperando la loro fatica.
I bambini, spensierati e indaffarati, si rincorrevano fra i filari e si divertivano un mondo a pigiare l’uva nei tini, in calzoncini corti.
Nel tagliare i grappoli si aveva cura di preservare quelli uniti dal tralcio che sarebbero stati conservati, appesi con dei chiodi alle travi, fino a capodanno, quando, appassiti, sarebbero stati consumati secondo una beneaugurante tradizione.
Al calar del sole i carretti lentamente tornavano in paese. Si procedeva alla pigiatura dei grappoli e si lasciava il mosto a fermentare, a volte anche all’aperto, ben coperto, perché l’anidride carbonica emessa è  nociva.
Era un rito che vestiva il paese a festa con voci, colori, odori, sapori.
Per le strade si diffondeva un dolce e intenso profumo di mosto che si sprigionava dai tini di legno dai quali spuntavano grappoli biondi, bruni o rosati.
Quei momenti venivano vissuti, seppur nella fatica, con la gioia del raccoglimento familiare. Alla fine della vendemmia si festeggiava con una grande tavolata all’aperto. Fin qui i ricordi di un antico rito ancora vivo nella nostra memoria, ricordi di un tempo in cui l’amicizia, la fratellanza, il rispetto e l’amore erano condivisi.
Oggi il raccolto è sveltito da strumenti meccanici: i carretti con i cavalli o con i muli sono stati sostituiti dai trattori; i tini da benne idrauliche e rimorchi.
Di solito l’uva è raccolta ancora manualmente, ma ci si sta avviando verso una meccanizzazione totale che prevede l’utilizzo di macchine che, scuotendo la pianta, raccolgono solo i chicchi e il mosto al fine di ridurre il lavoro manuale e abbattere i costi di produzione.
Resta, in ogni caso, il fascino dei grappoli che brillano al sole, dei profumi dell’uva matura, della piacevole frescura del primo mattino.
La cura del vigneto è un’attività che prevede un duro lavoro, richiede: conoscenza, pazienza, tempo e fatica. E’ un’attività che trascende l’aspetto materiale: è il rispetto di un mandato patriarcale che si trasmette di generazione in generazione, un sapere antico.
E’ una passione che pervade i nostri agricoltori, nel rispetto incondizionato per una natura generosa.
Sono tre i vini orsaresi che hanno ottenuto il marchio Daunia Igt, Identificazione Geografica Tipica: "Il Tuccanese", "Il Ripalonga" e "Ursaria". I primi due sono prodotti dalla Cantina Tuccanese. "Il Ripalonga" è un vino di un intenso colore rosso rubino, con una fragranza che unisce l'essenza di gusti e profumi della terra orsarese. "Il Tuccanese" è un altro rosso, sprigiona aromi di frutta matura, integrandoli armoniosamente con note speziate e balsamiche. Le origini del vitigno sono risalenti al 1300 e portano fino in Sicilia. Sia "Il Tuccanese" che "Il Ripalonga" sono vini ideali per l'abbinamento con piatti di carne alla brace, cacciagione e formaggi stagionati. "Ursaria", è un vino rosso, corposo, prodotto da un vitigno autoctono, dall'uva dei vigneti di Villa Jamele, antica tenuta immersa nel verde.

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